Il trattamento di fine rapporto (comunemente denominato TFR) è un riconoscimento economico che viene attribuito al lavoratore, all’esito del rapporto di lavoro subordinato. Si tratta di una liquidazione, derivante dall’accantonamento di una quota della retribuzione, che viene erogata al momento della conclusione del rapporto di lavoro o del pensionamento.
Si tratta di una questione delicata che riguarda molte procedure di divorzio. In questi casi, è opportuno chiedere una consulenza ad un ottimo avvocato matrimonialista.
La norma di riferimento del trattamento di fine rapporto (art. 12 bis L. n. 898 del 1 dicembre 1970) prevede che: “Il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell’articolo 5, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza”.
Il diritto a percepire una quota del trattamento di fine rapporto del coniuge lavoratore spetta soltanto al coniuge divorziato o alla parte dell’unione civile sciolta (art. 1, co. 25, L. n. 76 del 20 maggio 2016).
Presupposti per la percezione di una quota del trattamento di fine rapporto dell’ex coniuge sono, dunque, i seguenti:
- Che sia intervenuta una sentenza di divorzio;
- che l’ex coniuge richiedente sia titolare di un assegno divorzile periodico a carico dell’ ex lavoratore;
- che l’ex coniuge richiedente non sia convolato a nuove nozze;
- che il rapporto di lavoro dal quale è maturato il trattamento di fine rapporto sia anteriore al divorzio.
All’ex coniuge sarà riconosciuta una percentuale pari al quaranta per cento dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con gli anni di matrimonio, ovvero, dal giorno del matrimonio alla sentenza di divorzio.
Ai fini della quantificazione occorre dividere l’indennità percepita (dunque al netto delle ritenute fiscali) per gli anni del rapporto di lavoro e moltiplicare il risultato per il numero in cui gli anni di lavoro e quelli di matrimonio sono coincisi, computando il 40% cento su tale importo (Cass. n. 15299 del 6 luglio 2007). Alla suddetta quota dovranno essere sottratti eventuali anticipi già percepiti a seguito di richiesta del lavoratore trattandosi di somme già entrate, dunque, nell’esclusiva disponibilità dell’avente diritto (Cass. n. 24421 del 29 ottobre 2013).
Nel caso in cui, in sede divorzile, vi sia stata la corresponsione di una somma una tantum (ovvero di una somma versata da un coniuge all’altro in un’unica soluzione) non si avrà diritto alla quota del trattamento di fine rapporto.
Se il lavoratore percepisce il TFR prima della sentenza di divorzio (quando ancora non ci sono soggetti titolari dell’assegno divorzile), ma successivamente al deposito del ricorso, l’altro coniuge ne avrà comunque diritto.
Diversamente, in fase di separazione, non sussiste diritto alcuno del coniuge separato di percepire una quota del trattamento di fine rapporto.
Trattandosi, come detto di una liquidazione che viene corrisposta a fine rapporto lavorativo, qualora percepita durante la separazione questa concorrerà a formare il reddito ed il patrimonio che il giudice dovrà tenere in considerazione per calcolare, in presenza di tutti presupposti richiesti dall’art. 156 c.c. , l’assegno di mantenimento da corrispondere al coniuge economicamente più debole.
Qualora il lavoratore abbia maturato il trattamento di fine rapporto dopo la separazione, ma prima del divorzio, l’altro coniuge, non potendo richiedere l’assegnazione di una quota, potrà formulare istanza di modifica della separazione, essendo intervenuta una mutazione della condizione economica del coniuge che ha terminato il proprio rapporto di lavoro (art. 710 c.p.c.). In tal caso, il trattamento di fine rapporto sarà contemplato nella valutazione del nuovo ammontare dell’assegno di mantenimento.
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