La Cassazione spezza una lancia a favore dell’acquisizione della cittadinanza italiana da parte delle donne che, prima del 1948, persero lo status, contraendo matrimonio con uno straniero. Di conseguenza anche i figli nati da quest’unione hanno diritto al passaporto italiano. A stabilirlo è stata la prima sezione della Suprema corte che con la sentenza 17548/09 ha riconosciuto la cittadinanza italiana a due fratelli figli di una donna che aveva perso lo status a causa del matrimonio con un libanese.
Il caso
La pronuncia nasce dal ricorso presentato da due fratelli nati dal matrimonio contratto da una cittadina italiana con uomo libanese, che in seguito alle nozze aveva perso il passaporto italiano. La donna in seguito alle sentenze della Corte costituzionale – che avevano cancellato il paletto che precludeva la riacquisizione dello status alle signore che avevano sposato uno straniero dopo il primo gennaio 1948 – aveva espresso la volontà di riacquistare la cittadinanza italiana. Invano, i due fratelli hanno chiesto al Tribunale, prima, e alla Corte di appello poi di dichiararli cittadini italiani. Secondo i giudici di merito, infatti, anche se la donna aveva riacquistato il passaporto italiano, i figli non potevano acquisire la cittadinanza iure sanguinis, poiché nati quando la madre aveva perso lo status. I fratelli rilevavano, invece, che la stessa Cassazione con la sentenza 15062/00 aveva stabilito che per effetto delle sentenze costituzionali, dalla data di entrata in vigore della Costituzione, la titolarità della cittadinanza italiana andava riconosciuta anche alle donne che l’avevano perduta contraendo matrimonio con uno straniero, nonché alla prole che non l’aveva riacquistata perché nata prima del 1948. Tuttavia, per effetto delle sentenze della Consulta, la cittadinanza italiana deve essere riconosciuta in sede giudiziaria alla donna che l’abbia perduta ex articolo 10 della legge 555/1912, per aver contratto matrimonio con un cittadino straniero prima del 1° gennaio 1948, indipendentemente dalla dichiarazione resa ai sensi dell’articolo 219 della legge 151 del 1975. L’illegittima privazione dovuta alla norma dichiarata incostituzionale non si esaurisce, in realtà, con la perdita non volontaria della cittadinanza, ma continua a produrre effetti anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione, in violazione del principio fondamentale della parità tra i sessi e dell’uguaglianza giuridica morale tra i coniugi, contenuti negli articoli 3 e 29 della Carta fondamentale. Ne deriva, quindi – osserva ancora il “Palazzaccio” – che la limitazione temporale dell’efficacia della dichiarazione di incostituzionalità al primo gennaio 1948 non impedisce il riconoscimento dello status di cittadino, che ha natura permanente e imprescrittibile ed è azionabile in sede giudiziaria in qualsiasi momento, salva l’estinzione per effetto della rinuncia del richiedente. Riacquista, dunque, il passaporto italiano anche il figlio della donna nato prima dell’1 gennaio 1948. Tale diritto si trasmette pure ai suoi figli.
LA STAMPA