Sentenza della Cassazione: non è “futile motivo”. Solo 14 anni di carcere a un uomo che sgozzò la moglie
Uccidere la moglie non è un bel gesto. Ma se la sgozzi perché sei geloso, «morbosamente geloso» in qualche modo sei giustificato. O per lo meno non ti becchi l’aggravante dei «futili e abbietti motivi». Tradotto dal giuridichese alla vita pratica, significa che alla fine dei conti e degli sconti legali trascorri pochi anni in galera. Appena 14.
Non l’ha stabilito una corte di quelle famigerate zone tribali del Pakistan. Ma la Cassazione italiana. Un immigrato, nel 2006, assassina la sua donna con un coltello da cucina. E’ l’ultimo, orrendo, gesto di follia dopo una lunghissima sequenza di violenze e soprusi, perché l’uomo ha perseguitato la ragazza italiana per lungo tempo, fino a minacciarla di morte più volte, qualora l’avesse vista in compagnia di altri maschi.
Detto fatto. Condannato dal Tribunale di Milano per omicidio, la Corte d’Appello esclude l’aggravante per futili motivi. Risultato finale: i suddetti 14 anni di carcere. Il Procuratore non ci sta, vuole un nuovo processo e chiede l’aggravante, eccome, per ottenere una punizione più pesante. Quell’uomo, sostiene, considerava la sua vittima come «cosa propria» e l’omicidio è stato lo «sfogo di un desiderio anomalo di possesso in esito ad un lungo periodo di molestie». Insomma qualcosa di grave, molto grave.
Ieri la decisione finale. La prima sezione Penale della Cassazione, nella sentenza n.18187, conferma quello che aveva già stabilito la Corte d’Appello. Il crimine c’è stato, ma di passione si tratta. Non di un «motivo abietto e futile». Perché «l’aggravante della futilità» c’è soltanto quando il delitto è causato da uno «stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato, rispetto alla gravità del reato, da apparire per la generalità delle persone, assolutamente insufficiente a provocare l’azione delittuosa, tanto da poter considerarsi più che una causa determinante l’evento un pretesto per dare sfogo all’impulso criminale».
Per la gelosia non è così. Spiegazione dei Supremi Giudici: «la manifestazione di morbosa gelosia costituisce uno stato passionale causa frequente di delitti anche gravissimi, ma per la coscienza collettiva non costituisce una ragione inapprezzabile di pulsioni illecite». In parole povere, se il giuridichese non inganna, ci vuole comprensione per chi è accecato dalla gelosia.
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